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 MUSEO TEO ARTFANZINE N° 13. LA CITTÀ DEI LUOGHI - MAGGIO 1997
 Formato 24 x 34; cinquantaquattro pagine. Progetto grafico Marco Ammannati e Lê Hân Nguyên/Studio Vitamina.
Giovanni Bai, Maurizio Telloli, Caroline Bachmann, Andro Barisone, Nunzio Battaglia, Marco Belpoliti, Corrinne  Boddaert, Domenica Bucalo, Carlo Buzzi, Mattia Carratello, Fabrizio Carrer, Alberto Casiraghy, Cesare Alberto  Cicardini, Gea Casolaro, Paola Di Bello, Eredi Brancusi, Gabriella Ferri Piccaluga, Lino Gerosa, Dario Ghibaudo,  Giovanni Giommi, Carolina Gozzini, Viviana Gravano, Anne Guillermou, Laabid Harfouche, Hasselbaker, Barbara  Kruchin, Lemalin, Nicolò Leotta, Licia Martelli, Viola Mattei, Nora Merlin, Anahita Mobarhan, Johannes Dario  Molinari, Véronique Pascal-Champollion, Nicola Pellegrini, Antonio Pezzuto, Mario Porro, Alfredo Sala, Stefania  Sansoni, Sargam, Lisa Tavazzani, Francesco Tedeschi, Marie Aimée Tirole, Daniele Villa, Tiziana Villani, Luca  Vitone, Salvatore Zingale.

LA CITTA' DEI LUOGHI

di Giovanni Bai

 

"Maintenant, dans le petit salon, il reste ce qui reste quand il ne reste rien…" (Georges Perec)

"Kazakhstan: une nouvelle capitale au milieu de nulle part" (Libération, 27 dicembre 1997)

"Prenez la ville du Moyen Âge, remplacez le mur d'enceinte par le périphérique, et vous avez la ville contemporaine. Pourtant, la ville bientôt sans limites engloutit la campagne, écartelée entre ses fondaments médiévaux et l'émergence des mégapoles".

(Jacques Le Goff)

"Le telecomunicazioni favoriscono una prossimità temporale, che forma - lo si voglia o no - il centro assoluto del mondo. Quindi questa specie di città virtuale delle telecomunicazioni è il vero centro. Ma non è più un centro geometrico e tutte le città reali non sono che la periferia di questo iper-centro delle telecomunicazioni. Una specie di città delle città che non è situata in nessun luogo, ma che sta da per tutto ed è il luogo del potere". (Paul Virilio)

 

L'attività di Museo Teo prese avvio otto anni fa dal concetto espresso da Perec ne «La vie mode d'emploi» che anche il niente possa avere una identità, se conserva tracce della propria storia, pur nel dilemma rispetto agli esiti della lotta che l'uomo conduce per mantenere la propria individualità. "La metropoli - affermava quasi un secolo fa Simmel nel suo classico studio «La metropoli e la vita mentale» - "garantisce all'individuo un tipo e una misura di libertà personale che non ha alcuna altra analogia in diverse condizioni" anche se "da nessuna parte ci si sente così solitari e così perduti come nella folla metropolitana". Molte cose sono cambiate, sia le dinamiche del capitalismo che la città stessa. Già "fulcro centrale esterno alla fabbrica perché il capitalismo potesse espandersi, ora con l'avvento dell'era informatizzata, anche la città cambia ruolo, immagine e significato. La città entra in una crisi epocale: in un certo senso s'affaccia il declino della città e si sviluppa un urbano senza più città" (Giuliano Della Pergola).

Marco Revelli scrive a proposito di Torino: "Il nucleo propulsore della sua identità e della sua struttura sociale - la Fiat - si sta rapidamente «dissolvendo» nei canali della globalizzazione, emigra - scomponendosi - nelle nuove periferie del mondo (…) minacciando di classificare l'antica metropoli di produzione, il proprio centro originario, a sua volta in periferia". Non per questo ogni "cittadino senza città" ha rinunciato a lottare per mantenere la propria identità, anche se questo può rivelarsi particolarmente difficile nell'attuale fase storica. Massimo Ilardi sostiene che "nella metropoli contemporanea ci troviamo di fronte a [un] individualismo estremo, a [una] ricerca esasperata del particolare sempre più libero da esigenze di conferma da parte di una comunità": ma, se è vero che l'individualismo è estremo, i fenomeni imitativi come mezzo di appartenenza come pure l'aggregazione in bande, sembrano invece procedere in modo distruttivo dell'identità individuale stessa. Allo stesso modo procedono le trasformazioni nichiliste dello spazio urbano: il rinnovamento passa attraverso demolizioni non di singoli edifici, come le "Vele" di Napoli, ma di interi quartieri e l'esigenza non è certo la riqualificazione urbana ma, evidentemente, la speculazione immobiliare che spersonalizza intere aree della città.

Ricordo, come fosse tutt'uno negli anni settanta arrivare alla Gare de Lyon e gettarsi nel quartiere nero - che oggi non esiste più - in fondo a rue de Chalon, esotico per noi ancora ignari del cosmopolitismo, a respirare la bellezza della multietnicità.

Apprendiamo da "Libération" che il Kazakhstan dall'inizio di gennaio ha una nuova capitale, Akmola - che dovrà sostituire Almaty - situata in una "nulle part" che è sicuramente il contrario di "erewhon", non è certo la Tokyo senza centro di Barthes, la "omnipolis" di Virilio e neppure la città diffusa statunitense, dove il centro è riconoscibile solo grazie a un cartello. E' il niente e basta: i nomi di queste città ci dicono poco, e a molti forse sfugge anche l'esistenza dello stato di cui sono capitali. Il problema è evidentemente quello della creazione artificiale di una città che non è in grado di darsi un ruolo che storicamente non le appartiene, come nel caso del rapporto tra Brasilia e Rio de Janeiro. In fondo una capitale potrebbe essere solo un centro amministrativo, ma il problema non è solo una questione gerarchica di importanza, di prestigio o economia: è che una città si sedimenta col tempo e col tempo si dà una identità. La velocità con cui è avvenuta la crescita a dismisura delle metropoli del terzo mondo ha spesso cancellato la loro identità culturale - come pure è avvenuto nei nostri centri storici - perché la creazione delle infrastrutture nelle nuove aree è in realtà un proliferare di nonluoghi: questi spazi - come sostiene Augé - che non possono definirsi "né identitari né relazionali né storici" e rappresentano quindi "il contrario dell'utopia" stanno uniformando l'urbano a livello planetario.

E' la trasformazione del tempo e dello spazio, "l'urbanizzazione del tempo reale" (Virilio), la formattazione dei luoghi: per questo ci poniamo il problema di ciò che una città sa mantenere e valorizzare, in termini sia storici che sociali, ma anche di qualità estetica della vita, che non è poi così banale.L'estetizzazione dei processi metropolitani che trova nei centri commerciali i nonluoghi per eccellenza - divenuti ormai luoghi riconoscibili, praticati e amati - suggerisce inevitabili paralleli con processi avvenuti all'inizio del secolo scorso e così ben descritti da Walter Benjamin. Allora era l'universo delle merci che trovava il suo apogeo nelle esposizioni universali, o nei "passage" parigini, precursori dei supermercati, che le offrivano come spettacolo anche per chi non le poteva comprare. Oggi è lo spettacolo della folla piuttosto che del cibo precotto, prodotto di quella "metropoli dell'ipermercato, agglomerato di individui (…) retti solo dal loro insaziabile desiderio di arricchirsi e di consumare" di cui parla Ilardi.

E in questo mondo, ci ricorda Marco Belpoliti, lo sguardo, che si oppone al controllo estremo della videosorveglianza - sintomo ultimo di una ricerca di sicurezza come "ossessione urbana" (Le Goff) - assume un peso rilevante e lo sconfinamento verso l'estetica diviene terreno di scontro per chiunque e in particolare per chi pratica una ricerca nel campo dell'arte. Il senso del ricercare e del trovare è proprio della nostra esperienza: si può cercare e trovare oppure trovare senza cercare, comunque "chi cerca trova, e i cazzi sono suoi", nel bene e nel male. È la condizione di chi si muove nel territorio indistinto dell'arte, della comunicazione e della metropoli, con la consapevolezza che qualunque esito è quello possibile, pronto a pagarne le conseguenze. Anche solo guardarsi in giro, guardare la gente e quello che fa: l'esperienza di "Museo Teo" è una pratica del ricercare, è pratica di una nuova forma di comunicazione e della quotidianità dell'arte. Ecco perché può essere necessario organizzare una mostra in un ipermercato, perché l'estetizzazione dei processi sociali in generale - e metropolitani in particolare - esige un tentativo di questo tipo.

Ho seguito un filo mentale forse contorto, anche un po' casuale secondo la filosofia del "flâneur" di Baudelaire fatta propria da Benjamin, dove lo spostamento casuale in realtà non è mai e segue comunque quella logica che oggi è propria dei navigatori degli ipertesti. È la logica degli spostamenti di "Museo Teo", dell'esperienza di pratica e comunicazione dell'arte: esperienza di luoghi, spazi e relazioni, che è fatta anche dallo sguardo rivolto a questi luoghi per disegnarne una mappa, che non sia documentazione ma spiegazione e ricerca del proprio percorso mentale. Se abbiamo cercato di dare uno sguardo sul luogo mentale oltre che su quello fisico era se non altro per la consapevolezza dell'esistenza di questi territori, che abbiamo cercato di leggere in modo distaccato e persino ironico, per affrontare lievemente le metafore di un mondo in profonda trasformazione. Il luogo dell'identità planetaria "dei luoghi senza identità" come esito progressivo dell'implosione della metropoli si presenta dunque come un insieme di nuovi territori in cui avventurarsi con nuova consapevolezza. Se il concetto di territorio - sia esso conosciuto o sconosciuto - implica l'esplorazione, implica necessariamente anche quello di identità. In fondo, muovendosi secondo la logica del "flâneur", è la mappa di una nuova geografia quella che abbiamo definito; e il giorno che decideremo di realizzarla sarà sorprendente anche per noi.

THE CITY OF PLACES

 

"At present, in the small sitting room all that's left is what remains when nothing is left." (Georges Perec)"Kazakhstan: a new capital in the middle of nowhere." (Libération, December 27, 1997)"Take a medieval town, replace the city walls with the periphery and you will have a contemporary city. Therefore, this limitless city will soon engulf the countryside torn between medieval foundations and the rising of mega-cities." (Jacques Le Goff)"Telecommunications favour a temporal proximity that forms - whether we want it to or not - the absolute center of the world. Therefore this somewhat of a virtual city of telecommunications is the true center. But it no longer is the geometric center and all real cities aren't but the outskirts ofthis hyper-center of telecommunications. A city of cities that isn't located in any place, but that is everywhere and it is the place of power." (Paul Virilio)

 

The activity of Museo Teo began eight years ago from the concept expressed by Perec "La vie mode d'emploi" that even nothingness can have an identity if it retains traces of a history, even in the dilemma concerning the outcome of the struggle man endures to conserve his/her ownindividuality. "The metropolis - according to Simmel in his century old classic study - "The metropolis is the life of the mind" -"it insures a type and a measure of personal freedom unmatched in other contexts" notwithstanding that "in no other place do we feel so lonely and lost as within the metropolitan crowd". Many things have changed, both the dynamics of capitalism and the city itself. Once, "the pivot outside the factory so that capitalism could expand, now with the coming of the computer age, even the city changes it's role, it's image and it's meaning. The city enters a time of crises: in a way the decline of the city is approaching leading to an urban development devoid of the city" (Giuliano Della Pergola). Marco Revelli writes about Turin: "The driving force of it's identity and of it's social structure - Fiat - is rapidly 'dissolving' in the channels of globalization, it emigrates - breaking up - in the new outskirts of the world (...) threatening to classify the ancient metropolis of production, it's own former center, as the outskirts." Nonetheless every "citizen without city" hasn't given up the fight to keep his/her own identity, even if this could seem particularly difficult in the present historical period. Massimo Ilardi asserts that "in the contemporary metropolis we find ourselves facing extreme individualism, an exasperating quest for the particular exempt from the need of approval by a community": but, if it is true that individualism is extreme, mimetic phenomenon as an implement of membership or for example the union we find in gangs tend towards the destruction of individual identity. This same tendency is found in the nihilistic transformations of urban space: renewal goes through demolitions not only of single buildings, as with the "Vele" in Naples, but of entire neighbourhoods and the reason for this is certainly not urban requalification but, evidently, real-estate speculation that has adepersonalizing effect on entire areas of the city. I remember how it was all one thing to arrive at Gare de Lyon in the 70's and plunge into the black neighbourhood - that doesn't exist anymore - at the end of rue de Chalon, which was quite exotic for us not yet aware of cosmopolitanism, and to breathe in the beauty of multi-ethnicity.We learn from "Libération" that since the beginning of January, Kazakhstan has a new capital; Akmola - that will replace Almaty - it is located in a "nulle part" that is the exact opposite of "erehwon", surely it isn't Barthes's Tokyo with no center, nor is it Virilio's "omnipolis" or the extended North American city, in which the city center is recognizable thanks to a road sign. It is nothing at all: the names of these cities don't tell us much, and many people probably don't even notice the condition in which the capitals are in. Apparently the problem lies in the creation of an artificial city that isn't capable of giving itself a role that doesn't belong to it in a historical way. This happens for example in the relationship between Brasilia and Rio de Janeiro. After all, a capital city could just be an administration center , but the problem is not only a matter of hierarchical importance, prestige or economy: it is that a city will settle in time and in time it shapes an identity. The speed at which certain metropolis of the third world have grown out of all proportion has wiped out their cultural identity - the same can be said to have happened in our own historical centers - because creating facilities in newer areas is in fact a proliferation of non-places: "these spaces" - as Augé says - can't be defined "as having an identity, as relational nor as historical", therefore they represent "the opposite of utopia" they are standardizing the urban landscape across the planet. It is the transformation of space and time, "the urbanization of real time" (Virilio), formatting sites: that's why we ask ourselves what a city is capable of preserving and enhancing, in historical and social terms, as well as the esthetical quality of life, which isn't as trivial as one might think. The aesthetic component of metropolitan development which is best expressed in the form of the shopping mall: the non-place par excellence - which by now has become recognizable, busy and popular - points to inevitable links to previous developments occurring at the turn of the century and described so well by Walter Benjamin. Back then, it was the world of merchandise that found it's peak expression in international expositions or in the Parisian arcades, the precursors of supermarkets, products were offered just for show even if people couldn't afford to buy them. Today it's the show of people rather than that of precooked food, produced by "that hypermarket metropolis, a conglomeration of individuals motivated by their singular insatiable desire to get rich and consume" which Ilardi speaks of. It is in this way, as Marco Belpoliti reminds us, the gaze that resists video-surveillance's extreme control - the latest symptom of a search for safety as an "urban obsession" (Le Goff) - undertakes a considerable weight and the digression towards aesthetics paves the way to conflict for anyone and especially for someone whose work concerns the arts. Finding and seeking is part of our experience: it is possible to seek and find or find without seeking, in any which way "finders keepers" for good or for worse. This is the situation for those who travel the indistinct fields of art, of communication and through the metropolis, knowing that the possibilities are endless and willing to pay the price.Just looking around, looking at people and what they do: Museo Teo is research in practice, it is the custom of a new form of communication and the everyday life of art. Here is why it might be a good idea to organize a show in a hypermarket, because the aesthetic component of social and metropolitan processes - requires this kind of attempt. Perhaps I have followed a distorted train of thought and somewhat fortuitous according Baudelaire's philosophy of the "flâneur" formulated by Benjamin, where there never is random movement and at any rate it follows that logic which today belongs to hypertext navigators. This is the logic behind Museo Teo's movements, of the practice and communication of art: an experience made up of places, sites and relations, and which is also made up of the perception of these places to draw out a map, that isn't documentation rather it is explanation and research of one's own mental path. If we have tried to take a look at the place in mind as well as the physical place it was if anything because we are aware of their existence, which we have attempted to read in a detached ironic manner, to gently face up to the metaphors of a changing world. The site of the planetary identity "of places which have none" as a progressive outcome of the implosion of the metropolis, presents itself as a host of new territories in which to venture with a new kind of awareness. If the concept of territory - whether it be known or unknown - implies exploration, it automatically implies identity as well. After all, in accordance with the logic of the "flâneur" , what we have defined is the map of a new kind of geography; and the day we decide to carry it out we will surprise ourselves. (Traduzione di Anahita Mobarhan)

 

LA VILLE DES LIEUX

 

"Maintenant, dans le petit salon, il reste ce qui reste quand il ne reste rien…" (Georges Perec)"Kazakhstan: une nouvelle capitale au milieu de nulle part" (Libération, 27 dicembre 1997)"Prenez la ville du Moyen Âge, remplacez le mur d'enceinte par le périphérique, et vous avez la ville contemporaine. Pourtant, la ville bientôt sans limites engloutit la campagne, écartelée entre ses fondaments médiévaux et l'émergence des mégapoles". (Jacques Le Goff)"Les télécommunications favorisent une proximité temporelle, qui forme - qu'on le veuille ou non - le centre absolu du monde. Cette espèce de cité virtuelle des télécommunications est donc le véritable centre. Ma ce n'est plus un centre géométrique et toutes les cités réelles ne sont plus que la périphérie de cet hyper-centre des télécommunications. Una sorte de cité des cités qui n'est située en aucun lieu, mais qui se trouve par totut et c'est le lieu du pouvoir" (Paul Virilio)

 

L'activité de Museo Teo a commencé il y a huit ans a partir du concept exprimé par Perec dans "La vie, mode d'emploi", selon lequel même le néant peut avoir une identité, s'il conserve des traces de sa propre histoire, jusque dans le dilemme qu'il se pose à propos de l'issue du combat que l'homme mène pour maintenir son individualité. "La métropole - affirmait Simmel il y a près d'un siècle dans son essai désormais classique «La métropole et la vie mentale» - garantit à l'individu un type et une mesure de liberté personelle sans aucune analogie dans des conditions differentes "même si "on ne se sent nulle part aussi solitaires et aussi perdus qu'au milieu de la foule métropolitaine".Beaucoup de choses ont changé, les dynamiques du capitalisme comme la ville elle même. Déjà "creuset central extérieur à l'usine pour que le capitalisme puisse s'étendre, aujourd'hui avec l'avènement de l'ère informatisée, la ville aussi change de rôle, d'image et de signification. La ville entre dans une crise d'époque: dans un certain sens un declin de la ville se présent en même temps que se développe un urbain privé de ville (Giuliano Della Pergola): Marco Revelli écrit à propos de Turin: "Le noyau propulseur de son identité et de sa structure sociale - la Fiat - est en train de se dissoudre rapidement dans les canaux da la globalisation, émigre - en se décomposant - vers les nouvelles périphéries du monde (…) en menaçant de classer à son tour l'ancienne métropole de production, son centre d'origine, vers la périphérie". Ce n'est pas pour cela que tout "citoyens sans cité" a renoncé à lutter pour le maintien de son ideentité, même si cela peut se révéler particulièrement difficile dans la phase historique actuelle. Massimo Ilardi prétend que "dans la métropole contemporaine nous nous trovons devant [un] individualisme extrème, [une] recherche exacerbée du particulier de plus en plus libéré des exigences de confirmation par la part d'une communauté": mais si l'est vrai que l'individualisme est extrème, les phénomènos d'initiation comme moyens d'appartenance telle l'agrégation en bandes, semblent au contraire opérer de manière destructrice sur l'identité individuelle même. Les transformations nihilistes procèdent de manière identique sur l'éspace urbain: les renouvellement passe par des démolitions non pas d'édifices isolés, comme les "Vele" de Naples, mais des quartiers entiers, et l'exigence n'est certes pas la requalification urbaine mais apparentement la spéculation immobilière qui dépersonalise des aires entières de la ville. Je me souviens de la facilité avec laquelle dans les années '70 à l'arrivée à la Gare de Lyon on se jetait dans le quartier noir - qui n'existe plus aujourd'hui - au fond de la rue de Chalon, exotique pour nous autres qui étions encore ignorants du cosmopolitisme, pour respirer la beauté du pluriethnisme. Nous apprenons par "Libération" que le Kazakhstan a, depuis le début du mois de janvier, une nouvelle capitale, Akmola - qui devra remplacer Almaty - située dans un "nulle part" qui est certainement le contraire de "erewhon"; il ne s'agit certes pas de la Tokyo privée de centre de Barthes, ou de la "omnipolis" de Virilio, ni même de la cité diffuse américaine, où le centre n'est reconnaissable que grâce à une pancarte. C'est le néant et voilà tout: les noms de ces villes nous disent bien peu, et sans doute l'existence même de l'étant dont elles sont capitales échappe à nombre d'entre elles. Le problème est apparemment celui de la création artificielle d'une ville qui n'est pas capable d'assumer un rôle qui historiquement ne lui appartient pas, comme dans le cas du rapport entre Brasilia et Rio de Janeiro. Au fond une capitale pourrait n'être qu'un centre administratif, mais le problème n'est pas seulement une question hiérarchique d'importance, de prestige ou d'économie: une ville se sédiment avec le temps et avec le temps, elle se donne une identité. La vitesse à laquelle ont démesurément grandi les métropoles du tiers-monde a souvent contribué à effacer leur identité culturelle - ainsi qu'il est advenu de nos centres historiques - parce que la création des infrastructures dans les aires nouvelles est en réalité une prolifération de nonlieux: ces espaces - comme le soutient Augé - qui ne peuvent être définis "ni comme identitaires ni comme relationnels ni comme historiques" et réprésentent donc "le contraire de l'utopie" sont en train de uniformiser l'urbain au niveau planétaire. C'est la transformation du temps et de l'espace, "l'urbanisation du temps réel" (Virilio), la formatation des lieux: nous nous poson par conséquent la question de savoir ce qu'une ville sait maintenir et valoriser, en termes aussi bien historique que sociaux, mais aussi quelle est la qualité esthétique de la vie, qui n'est pas si banale qu'elle en a l'air.L'ethétisation des processus métroplitains qui trouve dans les centres commeriaux les nonlieux par excellence - désormais devenus des lieux reconnaissables, pratiqués et aimés - suggère d'inévitables parallèles avec de processus advenus au début du siècle dernier et si bien décrits par Walter Benjamin. C'était alors l'universe des merchandises qui trouvait son apogée dans les expositions universelles, ou dans les "passages" parisiens, précurseurs des supermarchés, qui offraient ces merchandises comme un spectacle pour ceux également qui ne pouvaient pas les acheter. Aujourd'hui, c'est le spectacle de la foule plutôt que celui des aliments pré-cuits, produits pour cette "métropole de l'hypermarché, agglomérat d'individus (...) tendus seulement par leur désir insatiable de s'enrichir et de consommer" dont parle Ilardi. Et dans ce monde, nous rappelle Marco Belpoliti, le regard, qui s'oppose au contrôle extrème de la surveillance vidéo - ultime symptome d'une recherche de sécurité comme "obsession urbaine" (Le Goff) - assume une grande importance et l'extension vers l'esthétique devient terrain de compétition pour n'importe qui et plus particulièrement pour ceux qui pratiquent une recherche dans le domaine de l'art. Le sens de la recherche et de la découverte est vraiment tiré de nostre expérience: on peut chercher et trouver ou même trouver sans chercer; de toute manière "qui cherche trouve, et ce sont ses oignons", dans le bien comme dans le mal. C'est la condition de ceux qui se meuvent sur le territoire indistinct de l'art, de la communication et de la métropole, avec la conscience que toute issue est possible, prêts à en payer les conséquences.Il suffit de regarder autour de soi, de regarder les gens et ce qu'il font: l'expérience de Museo Teo est une pratique de la recherche, d'une nouvelle forme de communication et de la quotidienneté de l'art. Voilà pourquoi il peut être nécessaire d'organiser une exposition dans un hypermarché, parce que l'esthétisation des processus sociaux en général - et métropolitains en particulière - exige une tentative de ce type. Le fil mental que j'ai suivi était sans doute un peu embrouillé, un peu hasardeux aussi, selon la philosophie du flâneur de Baudelaire que Benjamin s'est appropriée, où le déplacement ne se fait jamais au hasard et suit en tout cas cette logique qui aujourd'hui est propre aux navigateurs des hypertextes. Voilà la logique des déplacements de Museo Teo, de l'expérience de pratique et de communication de l'art: expérience des lieux, des espaces et des relations, faite aussi du regard tourné vers ces lieux pour en dessiner une carte, qui ne soit pas documentation mais explication et recherche de son propre parcours mental.Si nous avons cherché à jeter un coup d'oeil sur le lieu mental en plus du lieu phisique, c'était pour la conscience de l'existence de ces territoires, que nous avons tenté de lire de manière détachée et même ironique, pour affronter légèrement les métaphores d'un monde en transformation profonde.Le lieu de l'identité planétaire "des lieux sans identité" comme issue progressive de l'implosion de la métropole, se présente donc comme un ensemble de nouveaux territoires sur lequels s'aventurer avec une conscience nouvelle. Si le concept de territoire - qu'il soit connu ou inconnu - implique l'exploration, il implique nécessairement aussi celui d'identité. Dans le fond, en se mouvant selon la logique du flâneur, c'est la carte d'une nouvelle géographie que nous avons définie; et le jour où nous déciderons de la réaliser sera surprenante pour nous aussi. (traduzione di Anne Guillermou)

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