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MTNZ # 2.5

PER PIERRE

 

Verso la fine degli anni settanta, tra il '78 e il '79, avevamo preso l'abitudine di incontrarci con Pierre Restany,

una volta al mese (o ogni due, secondo i suoi impegni, ma per noi il tempo lo trovava sempre).

Era l'epoca in cui Restany aveva organizzato la mostra Argillia Press, aveva passato due mesi in Amazzonia teorizzando il naturalismo integrale, ma era anche l'epoca del caso Moro.

Gli incontri avvenivano o nella redazione di Domus, in via Manzoni, o all'Hotel Manzoni, in Via Santo Spirito, dove risiedeva abitualmente quando era a Milano.

E registravamo delle interviste (che erano in realtà dei colloqui tra maestro e allievi curiosi), che poi trasmettevamo attraverso le onde di Radio Canale 96, una delle prime di quelle che allora si chiamavano radio libere.

Ora che Pierre ci ha lasciato gli dedichiamo questo stralcio dal colloquio del 5 ottobre 1978, in cui si parlava delle mostre, del ruolo del critico d'arte e di quello dell'informazione.

[Giovanni Bai e Salvatore Zingale]

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

(...) Dunque il problema è un problema semplice a questo livello: come dare all'informazione, diciamo, una dimensione diversa. Credo che il problema è un problema un po' di tutti noi, non solo vostro, dell'interlocutore.

So che avete dei mezzi limitati, dunque sarebbe totalmente utopico di chiedervi di creare un altro tipo, diciamo, di circuito informativo. Siete legati proprio alla modestia dei vostri mezzi.

Ma credo che la cosa interessante risiede proprio, diciamo, nell'ambiente psicologico del contatto. Un continuo contatto per esempio molto diverso da quello che potrei avere con una radio nazionale o un mass media di tipo più ufficiale, più direttamente professionale.

E' proprio, se posso dire, lo spazio fra le parole del nostro discorso che è interessante, perché questo è piena virtualità. Potrei dirti in questo momento tutte le cose che possono passarmi proprio, insomma, nel cervello. Non lo faccio, evidentemente... Però questo mi da un'altra carica espressiva.

Quindi avevo mangiato un po' troppo, bevuto un po' troppo a questo pranzo, e stavo per addormentami. A un certo momento, vedi, una questione tua mi ha svegliato, tutto sommato, perché la metà di questa intervista l'ho fatta, diciamo così, in dormiveglia.

Queste cose sono interessanti perché creano questo tipo di presenza. Vedi, questa trasmissione che facciamo in questo momento è direttamente o indirettamente una specie di autoritratto.

Mi capisci, il microfono mi sta dipingendo, mi sta registrando a livello proprio strutturale. Le mie parole, il mio atteggiamento e la mia fatica fisica, il mio modo di parlare, di fumare, di addormentarmi, di cercare le parole creano proprio una presenza, se posso dire, a livello proprio auditivo.

Che è una cosa rara in un certo senso, perché mi sento liberato e perché mi sento legato a voi solo a livello del discorso diretto e spontaneo, non cerco di fare teoria, non cerco di fare bella figura.

Mi sto sfogando, diciamo, naturalmente e non con eccesso, perché esiste anche la deontologia dei mass media.

Non è uno sfogo puro, non è un atteggiamento di menefreghismo assoluto, è nello stesso tempo la coscienza di un messaggio che cerco di comunicarvi. Finalmente il microfono vostro mi ha reso narcisista, sono in pieno narcisismo in questo momento, un narcisismo controllato.

GREGOR SCHNEIDER

 

Signora Reuen, Lei è l'alter ego artistico artificiale del signor Gregor Schneider, o no?

Schneider ha continuato a dare il mio nome alle sue mostre senza che io lo sapessi. Ma io non c'entro nulla con le sue opere.

E voglio avere a che fare con lui il meno possibile.

 

(...) È più successo qualcosa del genere?

Durante l'inaugurazione della Toten Haus ur alla Biennale di Venezia, tutte le stanze puzzavano di urina. È successo prima dell'apertura ufficiale, il giorno della visita con gli sponsor. Hanno dovuto chiudere la mostra per l'intera giornata.

Come mai il signor Schneider avrebbe urinato nelle sue stane?

Per vedere cosa accdeva. Per lui questa è una prova, vuole osservare cosa accade. Non gli serve un motivo.

 

Ha mai capito cosa fa tutto il giorno in casa il signor Schneider? Dev'esserci un rumore assordante quando lavora. Questa è una cosa che ha meravigliato tutti, Qui nella via. Continua a portare sacchi su sacchi di materiale in casa. Nessuno capisce perché. I vicini mi hanno già fatto parecchie domande in merito. Dev'esserci un motivo per fare cose del genere...

 

[...] Ho cercato di capire Schneider, di capire cosa facesse. Per lui tutti i lavori che fa, le sue opere, partono da una riflessione logica e molto accurata. Dice che può spiegare tutto. Dall'inizio ad oggi. (...)

Mi ha anche raccontato i modi con cui negli anni successivi si è seppellito o mutilato. Riesce a descrivere tutto senza particolare interesse, a liquidarlo come un esperimento.

(Dall'intervista con Gregor Schneider e Hannelore Reuen realizzata nella Ur Haus di Rheydt, grazie alle pressioni di Amine Haase, dal catalogo della mostra Hannelore Reuen-Gregor Schneider , Hamburger Kunsthalle, 2003.

Dal catalogo della mostra My Private #1: Gregor Schneider, Milano, 2003.)

 

Gregor Schneider,

Sperma, 1997

vetro-silicone-acqua-sperma

Con la mostra personale

di Gregor Schneider,

che si è tenuta il 9 maggio 2003,

si è inaugurato il progetto My Private,

Via Pasteur 21 a Milano.

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