MTNZ # 2. BIENNALE DI VENEZIA
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SPECIALE 50.ma BIENNALE
di VENEZIA [2003]
a cura di
Giovanni BAI
& Carolina GOZZINI
SPONSOR ALLA BIENNALE
[NEXT EXIT SETTEMBRE 2003](pdf)
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Biennale di Venezia 2001
CINQUANTESIMA BIENNALE DI VENEZIA:
SOGNI E CONFLITTI
[PIÙ CONFLITTI CHE SOGNI]
Il primo impatto con la Biennale non è propriamente positivo: l’aria è di una mostra un po’ appiccicata, come semplicemente appiccicate alle pareti sono molte delle opere. L’atmosfera è quella da mostra di fine corso: non ricordo più chi lo ha suggerito, ma eravamo in molti a concordare. La prima impressione è che non ricordavo una Biennale così poco interessante.
Anche se non è facile distinguere le opere dai mucchi di immondizia e quelle buone da quelle meno, il caos di Stazione Utopia, che lì potrebbe avere un senso, lo si ritrova in molte altre sezioni della mostra, a scapito dell’ottimo lavoro svolto sia da molti degli artisti che dei curatori. Insomma, al di là delle buone intenzioni e dell’onestà intellettuale di Bonami, il risultato sembra un po’ un pasticcio in cui, invece che andare a cercare il positivo che – ripeto – c’è, i soliti detrattori dell’arte contemporanea come Sgarbi e amici troveranno la conferma delle loro tesi contro l’arte contemporanea. E questo nonostante la grande presenza della pittura, presente sia ai Giardini che in una mostra specifica al Museo Correr, dove i criteri critici di organizzazione sembrano esaurirsi nella discutibile affermazione della superiorità del termine inglese painting – indicante cioè l’azione – rispetto allo statico e passatista pittura.
Il sottotitolo della manifestazione La dittatura dello spettatore non si riferisce, per fortuna, all’intero sistema dell’arte – che non si sottrae a quella del mercato, come neppure accade alla Biennale stessa – ma alle modalità di fruizione della specifica mostra, in cui osservare le singole opere e non la mostra come un unicum. Inequivocabile, ma assai di difficile realizzazione in mostre di così grandi dimensioni, anche in considerazione del fatto che le varie sezioni, che sono state affidate a differenti curatori, sono tra di loro perfettamente intercambiabili, con l’eccezione forse di Zone d’urgenza.
Ovviamente non è tutto negativo, sia a livello di lavori presenti nelle varie sezioni che di alcuni padiglioni nazionali. All’ingresso si viene accolti da una serie di persone sedute in cima a degli alberi, rappresentanti della Church of Fear e prologo di Stazione Utopia. Prima di arrivare al Padiglione Italia si verrà ostacolati dal robottino a propria immagine e somiglianza di Maurizio Cattelan, e si cercherà invano di entrare nel Padiglione Spagnolo, murato da Santiago Serra e il cui accesso è riservato ai soli cittadini spagnoli, metafora dell’esclusione propria della nostra epoca e della società spagnola nello specifico. Anche il padiglione Olandese è interessante con il bar di Gaba, il cinema di van Lieshout e la maquilladora di Amorales, mentre l’Islanda offre, grazie a Ruri, un archivio delle acque da salvare; eccessivamente barocco il padiglione Danese affidato a Olafur Eliasson, che ha costruito un gigantesco caleidoscopio e ugualmente eccessivamente estetizzante l’opera dell’inglese Ofili, che va segnalata soprattutto per l’allestimento fondato sulla contrapposizione tra verde e rosso.
Non presente ufficialmente, l’Iraq è invece rappresentato dall’artista Al Fadhil che ha ideato un progetto con un padiglione mobile: la scritta I’m the Iraq Pavilion at the 50th Venice Biennial stampata su maglietta.
Nella sezione Extra 50 ricordiamo la mostra di Fabio Mauri presso la galleria Nuova Icona in Giudecca e soprattutto quella bellissima di Ilya & Emilia Kabakov alla Fondazione Querini Stampalia. Where is our place? è un progetto sulla contrapposizione paradossale tra l'arte contemporanea e quella che gli artisti della nuova generazione giudicano come vecchia, realizzato mediante l’allestimento di due esposizioni: una della fine del XIX secolo, l'altra di arte contemporanea. Allo stesso tempo, sono rappresentati due tipi di spettatori: quelli di due secoli fa e quelli di oggi. I primi, sotto forma di figure giganti, possono essere visti dal visitatore contemporaneo solo dalla cintola in giù; la parte superiore infatti, scompare oltre il soffitto.