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MTNZ # 1 - BIENNALE DI VENEZIA 2001

L'ARTE DELL'UMANITÀ GLOBALIZZATA
 
Lo dice anche Lea Vergine - nel suo recentissimo libro "Schegge" -

che "ci si aspettava di più" da Harald Szeemann , molto di più aggiungerei.

 

Superati da tempo i cento anni di età, la Biennale di Venezia si avvia alla

cinquantesima edizione: speriamo che sia più memorabile di questa che,

una volta per tutte, dovrebbe fare riflettere sulla necessità di

manifestazioni

di questo tipo, proprio nel momento in cui si assiste al loro proliferare,

dall'Europa all'Africa, all'Estremo Oriente

.

"PLATEA DELL'UMANITÀ" è il titolo voluto dal curatore che ci ricorda:

" Il termine "platea" contiene in sé molte accezioni: è piano sopraelevato,

è base e fondamenta, è piattaforma. La Biennale d'Arti Visive come

piattaformadell'umanità.  

Questa è la pretesa."

Ecco, piattaforma era molto meglio, ma bisognava adeguarsi alle altre lingue:

Plateau de l'humanité, Plateau of Humankind, Plateau der Menschheit,

perché adeguarsi è la parola d'ordine della globalizzazione;

è proprio questo il concetto a cui si ispira Szeemann, alla "globalizzazione e all'abbattimento di muri di qualsivoglia natura", cui gli artisti "reagiscono in modo ancora diverso rispetto a una decina di anni fa": perché l'omogeneizzazione non dovrebbe esistere anche qui allora?

 

Gli artisti di ogni parte del mondo si sono omologati alle richieste del mercato, e anche quelli dei paesi più lontani cercano di essere "trendy" e inutili quanto i nostri celebrati giovani Vezzoli e Beecroft.
 
Un percorso faticosissimo da ricostruire, quello disegnato da Szeemann, che costituisce un ulteriore tassello della sua "Agenzia per il lavoro spirituale al servizio della visualizzazione di un museo delle ossessioni", e da seguire all'interno di spazi sempre più grandi

- nuovi spazi sono stati recuperati all'Arsenale, ma il crescente numero di partecipazioni nazionali espande la Biennale in tutta la città (con l'innegabile merito di mostrare luoghi, chiese, palazzi altrimenti chiusi al pubblico o sconosciuti) -

e da conciliare con i tentativi di contaminazioni con altre arti come la danza e il cinema.

 

La collaborazione tra la Biennale Cinema e quella Arti Visive si concretizza nella presenza di sei progetti realizzati da altrettanti cineasti contemporanei: Akerman, Egoyan (con Sarmiento), Kiarostami, Lynch, Yang, Gianikian & Ricci Lucchi.

Ma, se si esclude lo straordinario "La lunga marcia dell'uomo" di questi ultimi, la collaborazione non ha portato risultati sconvolgenti, visto che questi progetti sono perfettamente intercambiabili con la pletora di video che si possono vedere nella Biennale stessa, così come nelle tante mostre di questo genere.
 
E l'umanità degli addetti ai lavori che si aggirava per questi spazi diveniva metafora della piattaforma di Szeemann, una umanità disumana che si accalca per cercare di cogliere un attimo di una performance o raccattare una porzione di cibo al buffet, si vede chiedere diecimila lire per un bicchiere d'acqua versato da una bottiglia con l'etichetta del curatore ("è una performance") o deve fare una coda di due ore per vedere l'installazione del tedesco Gregor Schneider

(visitabile da poche persone per volta).

 

E meno male che ci sono i padiglioni nazionali che, come nel caso, appunto, di quello tedesco e i pochi altri, riprendono in termini più coerenti, pur nella loro autonomia, il tema proposto (mentre assolutamente deludente risulta l'installazione dello statunitense Robert Gober) perché il percorso proposto da Szeemann trova i suoi punti di forza in opere che sono ormai dei classici, come

" Olivestone" di Joseph Beuys - che ci appare molto più significativa de "La fine del XX secolo", presentato invece come l'opera chiave della mostra - o la monumentale installazione del "Leone d'Oro alla carriera" Richard Serra (mentre le opere in mostra dell'altro "Leone d'Oro" Cy Twombly sono sinceramente più deboli di tante sue altre)

 

Così come appare poco convincente l'installazione con cui la mostra si apre, dove il "Pensatore"

di Rodin, inerpicato su di una collina rossa in una stanza dalle pareti verdi, pensa alla sua sorte circondato da pregevoli manufatti provenienti da decine di culture diverse che tendono inesorabilmente a perdere la propria autonoma carica estetica.

 

 E infine le cose che ci sono piaciute di più, tra quelle che siamo riusciti a vedere: le sculture iperrealistiche di Ron Mueck, i vasi in PVC di Gerd Rohling, le foto di Tatsumi Orimoto che

riprende la madre in assurde pose e la installazione, realizzata con il computer,

di Charles Sandison. 

Quelle che non ci sono piaciute sono tante, ma ci ha dato fastidio il grande spazio dato ai

calciatori vestiti da Trussardi, un'opera di Ingebor Lüscher.  

Lo sapete, vero, chi è suo marito? 

[Txt+Ph: G.Bai]

[APPUNTI] All'ingresso del Padiglione Italia il mondo appare diverso, visto attraverso Frozen Water,

l'installazione tecnologico-musicale di Carsten Nicolai

Barbabas Bencsik  (commissario aggiunto del Padiglione ungherese) e il progetto Arte Mobile, parte del più

ampio progetto di Interazione sociale

Grazie ad Ana Laura Alàez il Padiglione spagnolo era una discoteca...

GIALLO MCDONALD. Il Giappone ci ha abituato a dei bellissimi allestimenti. La dominante gialla di Fast and Slow [Ma è davvero una critica a McD?] di  Masato Nakamura  è proprio bella, ma non basta.

 Eva_e_Adele (che non mancano mai), con Restany c’è Ontani (che si mette in posa e si impettisce a tal punto da sembrare una sagoma di cartone, tra gli spruzzi di sangue di Olaf Nicolai)

Robert Gober (con la mamma) [Il pezzo forte di questo numero doveva essere l'intervista che Gober aveva promesso alla nostra Mary Crenshaw. Siamo solo riusciti a fotografarlo mentre scappava...]

Tatsumi Orimoto , "Small mama + big shoes" , Charles Sandison, "Living Room", Joseph Beuys, "Olivestone"

(Corderie dell'Arsenale) Ron MUECK  , Untitled (boy

Massimo BAR_tolini

Le Gaggiandre  [oziare alle -]

Lo splendido vino cileno ha decretato il successo dell'omonimo padiglione, mettendo in

secondo piano il bellissimo lavoro di Juan Downey (le gabbie dei suoi uccelli sono identi-

che a quelle del G8 a Genova: purtroppo i cileni queste cose le hanno già vissute...). 

"No(t) Human": Antonio d'Avossa e Lucrezia De Domizio

Lo spazio THETIS è una parte dell'Arsenale, è proprio lì di fronte, nel punto più stretto

saranno trenta metri di mare, ma per arrivarci bisogno ritornare sul bacino di San Marco e prendere il vaporetto.

Per fortuna da un po' di tempo c'è la nuova fermata Bacini. O, se si è fortunati come noi, si riesce a farsi dare un passaggio, risparmiando vuoi un'ora, vuoi centomila.

E alla Thetis è il paradiso, non solo per il Perfumed Garden ideato da Beral Madra, ma perché c'è poca gente e la sera è dolce. L'area Thetis è ibrida, perché ci sono alcuni padiglioni della Biennale, come quello cileno e parte di quello turco

(l'altra metà è da Nuova Icona, in Giudecca),

e anche quello di Cipro, poi la mostra "No(t) Human", l'installazione di Vanda Koop [e forse c'è ancora qualcosa...]

Antonio Riello (AS BLACK AS COAL) e Vittorio Urbani;

Beral Madra e Carolina Gozzini; ThePERFUMEDgarden>.

SLOVENIA. Quest'anno non c'è Oreste [a sinistra: Norese e Boresta, i resti di Oreste].

Quasi tutto regolare, quindi, a Venezia. Non fosse per la presenza del padiglione sloveno (allora c'è ancora il pericolo rosso alle nostre porte!) che ha dato spazio sia agli hacker che alle prostitute!

La sfilata degli "ombrelli rossi", nonostante il maltempo, il "Primo congresso mondiale delle lavoratrici del sesso e del nuovo parassitismo"e la diffusione di un virus informatico [Un gruppo di artisti e programmatori - 0100101110101101.ORG e epidemiC - ha esposto "biennale.py", che è allo stesso tempo un'opera d'arte e un nuovo virus informatico:

"Un virus è solitamente considerato il male, il caos. Ma cosa succede quando a diffondere il caos è il tempio dell'arte contemporanea?"] avranno leggermente smosso l'omogeneizzazione szeemanniana? Comunque grazie ad Aurora Fonda.

Serre dei Giardini di Castello: Johan Muyle, "We don't know him from Eden"  [+ G.B]

"En el Cielo": una mostra nei cieli sopra Venezia, grazie a un aeroplano.  [Museo Teo ha organizzato la "Mostra in cielo" di Giuseppe Bordonaro nel 1993, ma in cielo davvero...] 

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